Contro Natura è il libro di Dario Bressanini e Beatrice Mautino in cui i due autori, il primo chimico e la seconda biotecnologa, cercano di fare chiarezza sullo spettro che si aggira per le tavole degli italiani: il cibo OGM. Un mostro, appunto, contro natura, perché solo recentemente la scienza è intervenuta nel piegare al volere dell’uomo le piante e i frutti che mangiamo. Ma è davvero così?

Ho comprato il libro perché seguo sia Bressanini sia Mautino su Instagram e apprezzo il loro lavoro di divulgazione scientifica. Confesso con sincerità che pensavo che Contro Natura avrebbe parlato del biologico e del marketing che si cela dietro, ma sono andata a sbattere contro una mia convinzione: gli OGM non sono sicuri per la nostra salute perché non conosciamo gli effetti a lungo termine.

I falsi miti sull’agricoltura

Un campo di grano dorato baciato dal sole e un contadino che sorveglia le messi appoggiato alla sua falce: questa potrebbe essere grosso modo la vostra (e la mia) idea di agricoltura. Ci trasmette fiducia e genuinità e non esiteremmo a comprare i suoi prodotti.

I riferimenti nobili per questa atmosfera si sprecano e vanno dall’età dell’oro dei poeti classici, in cui la terra dava frutti senza essere coltivata, ai paesaggi astratti di Franco Fontana. Credo però che abbiano contribuito a questa immagine soprattutto gli spot martellanti di Barilla e Mulino Bianco, come ad esempio:

Lo spot Barilla diretto da Wim Wenders e scritto da Alessandro Baricco. Niente di meno?

Dimenticatevi questa immagine. L’agricoltura è diventata sempre più complessa e meno immediata, per aiutare l’uomo nella competizione contro la natura stessa. In un campo o su un albero ci ritroviamo in gara con altri esseri: i batteri, i funghi, altre piante e gli stessi animali. Il contadino che abbiamo incrociato prima forse era lì per fare scappare gli uccelli, per spruzzare il diserbante giusto per quella pianta infestante, per ore e ore di lavoro davvero sporco. No, l’agricoltura non è affatto idilliaca, neanche l’agricoltura biologica, dove sono concessi i diserbanti.

OGM: cosa sono?

Organismi geneticamente modificati, facile no? Non così come sembra. L’uva senza semi è un organismo geneticamente modificato? Il mandarancio è un organismo geneticamente modificato? La vite resistente alla fillossera è una pianta transgenica? E la clementina? Sì, tutti irrimediabilmente modificati geneticamente. Ma perché non ci siamo mai fatti problemi a comprare un sacchetto di clementine? Perché l’ibridazione tra il mandarino e l’arancio amaro è avvenuta in maniera apparentemente più naturale, con tecnologie “meno invasive” dell’ingegneria genetica?

Bressanini e Mautino, infatti, inquadrano il problema da cui parte la discussione sugli OGM: la demonizzazione delle tecniche più avanzate per alterare il materiale genetico di un organismo e sviluppare caratteristiche che interessano all’uomo, come la resistenza a certi parassiti o ai climi estremi. Anche la legislazione europea sugli OGM, purtroppo, rispecchia questa miopia: è autorizzata la commercializzazione e la coltivazione di piante geneticamente modificate tramite incroci e ibridazioni, ma non tramite ingegneria genetica, se non dopo un iter di approvazione che può durare decenni, sostenibili solo da grandi multinazionali e non dagli eccellenti centri di ricerca universitari italiani (come quello all’Università di Bologna). Invece, le piante prodotte da incroci spesso richiedono un periodo di ricerca più lungo rispetto all’ingegneria genetica perché va per tentativi.

Grano OGM: 8.500 a.C.

La premessa sull’immagine idilliaca dell’agricoltura era necessaria per inquadrare il luogo in cui le piante crescono: un campo infestato di avversari per accaparrarsi il frutto più dolce. Da millenni, l’ingegno umano cerca di anticipare le mosse dei suoi avversari. L’ingegneria genetica è solo l’ultima trovata in questa strenua gara.

La domesticazione è uno dei primi atti «contro natura» che la nostra specie abbia compiuto. Domesticare piante e animali selvatici significa privilegiare i caratteri utili all’uomo (come, per esempio, la grandezza dei semi e dei frutti o la docilità nel caso di animali) eliminando quei caratteri che permettono loro di vivere allo stato selvatico. Domesticare, di fatto, vuol dire appiattire la variabilità genetica: per esempio nei vegetali si sono privilegiati i caratteri, e quindi i geni, legati al sapore che l’uomo ritiene gradevole, eliminando i geni responsabili della produzione di sostanze sgradevoli o tossiche che però spesso avevano la funzione di allontanare i parassiti e gli insetti, in una sorta di guerra chimica «naturale». (p. 70)

L’uomo ha iniziato quindi la sua battaglia contro natura fin da quando ha selezionato quali tipi di piante di grano coltivare, quali incrociare per ottenere varietà che potessero soddisfare le esigenze della popolazione. Vi potrebbe sorprendere infatti la storia del triticum aestivum, il grano tenero, e della sua famiglia allargata, composta di farro monococco (Einkorn), farro spelta, grano Khorasan (commercializzato come Kamut), grano duro e altre specie. Il grano tenero è forse una delle prime piante create dall’uomo e non ha infatti un corrispettivo selvatico.

Ma non penserete che il grano che usiamo ora fosse quello coltivato dai Sumeri nella Mezzaluna fertile? Dovreste avere capito che l’uomo lotta ogni giorno e con ogni mezzo per far sopravvivere le proprie piantine e in circa 10.000 anni di coltivazione il grano abbiamo selezionato le piante più resistenti. Ad esempio, il triticum durum, il grano duro, non era quella piantina di un metro scarso che è ora, ma un gigante di quasi due metri che al vento forte poteva piegarsi (allettarsi, si direbbe in gergo) e non riuscire più a crescere. In Contro Natura leggiamo infatti le parole polemiche di Tullio Regge, in un articolo pubblicato su Le Scienze e intitolato spaghetti geneticamente modificati nel gennaio 2000: il grande pubblico, i consumatori, non sono consapevoli di quello che hanno nel piatto.

Da oltre vent’anni, insomma, gli italiani si nutrono con un OGM, «organismo geneticamente modificato», brevettato e ampliamente commerciato alla luce del sole senza che si siano registrati inconvenienti. (p. 30)

Regge parla proprio del grano, in particolare del grano Creso, una cultivar di grano duro creata negli anni Settanta e molto usato ancora in Italia e nel mondo. Il suo successo è dovuto alla sua altezza tra i 70 e gli 80cm, che scongiurava l’allettamento, l’alta produttività e la resistenza a una ruggine pericolosa, caratteristiche ereditate dai genitori, rispettivamente un grano messicano e il grano Cappelli, anch’essa una cultivar italiana.

Gli autori si soffermano molto sul grano perché è, insieme a mais e riso, la base dell’alimentazione mondiale e ha un posto di rilievo nell’alimentazione italiana, quindi oggetto di molte discussioni. Ma altrettanto approfondita è la trattazione della coltivazione del riso e della sua commercializzazione, una storia anche più interessante di quella del grano: se avete in casa una scatola di riso Arborio o Carnaroli, infatti, è molto probabile che al suo interno ci sia solo una piccola percentuale di riso di quella varietà. Perché? Perché la legislazione permette di essere poco chiari per riuscire ad andare incontro alla domanda di tradizione dei consumatori italiani.

In altre parole, ci spiega Carrà [il presidente dell’Ente Risi, n.d.r.], senza questa legge, il «peso» della tradizione, spesso glorificata dal consumatore che non ha mai visto un campo di riso da vicino e che idealizza un’agricoltura e i suoi prodotti sempre uguali a se stessi, sarebbe forse stato schiacciante. (p. 193)

OGM: pro e contro?

Concludo con la domanda che si fanno tutti, io in primis: sono possibili danni a lungo termine degli OGM, dovuti al consumo quotidiano e ripetuto? Ci sono dei pro e dei contro per l’uso di piante OGM e dei loro frutti?

Come abbiamo visto, non ha molto senso di parlare genericamente di OGM perché anche la farina, le carote viola, il riso Venere o le mele Gala sono frutti che provengono da piante geneticamente modificate nel corso del tempo. Piuttosto ci dovremmo concentrare solo su prodotti provenienti da piante con interventi di ingegneria genetica, modificate in genere per resistere a batteri, funghi e altri parassiti. Gli autori, allora, riportano alcuni studi durati una decina di anni che confermano la bontà di questi prodotti transgenici. Nonostante ciò, loro stessi pensano che sia legittimo chiedere controlli sui prodotti OGM, tenendo bene in mente che l’ingegneria genetica è uno dei tanti modi per alterare il patrimonio genetico di una pianta.

Il cibo «naturale» non esiste, così come, paradossalmente, non esiste il cibo «contro natura». Esiste semplicemente il cibo, che abbiamo sempre modificato e che continueremo a modificare. (p. 302)

Contro Natura è estremamente interessante, anche se mi sarei aspettata una trattazione più sistematica dell’argomento, ad esempio, partendo dalla definizione di cosa fosse un OGM e non arrivandoci a pagina 100, un po’ come ha fatto David Quammen in Spillover. Il libro comunque inizia parlando del glutine, della pasta e della celiachia, argomenti molto sentiti dal pubblico italiano.

Contro Natura è un libro bello e che consiglio fortemente per farsi un’idea che vada oltre la paura della novità in un campo in cui di più noi italiani pretendiamo tradizione: il cibo. Gli OGM in Italia ci sono già e dobbiamo imparare a conoscerli al più presto per decidere cosa ne pensiamo.

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