Si immagina Nerone come un imperatore sanguinario, pazzo ed eccentrico, che cantava con la lira mentre Roma subiva uno dei più disastrosi incendi. Ma era davvero così? Gli storici contemporanei ridimensionano di molto questo suo ritratto e Massimo Fini con il suo libro Nerone duemila anni di calunnie sfata alcuni miti per concedergli meriti indiscussi.

Di Massimo Fini avevo già letto Catilina un uomo in rivolta, il che mi fa pensare che l’autore abbia simpatia per le personalità restituite alla storia come cattive. Da questa biografia è stato anche tratto uno spettacolo teatrale.

Il tono del libro è tipico di Fini, quasi sprezzante con la storiografia che ha trascinato l’immagine non veritiera del princeps. Di sicuro la sua è una ricostruzione ben documentata, con fonti antiche riviste dall’occhio critico di storici contemporanei. Ma come ha fatto a passare alla storia questo ritratto di Nerone?

Chi era Nerone?

Per capire qualcosa di più su Nerone, partiamo dal nome che aveva prima di diventare imperatore: Lucio Domizio Enobarbo, a cui aggiunse Nero (valoroso) una volta salito adottato da Claudio. Era figlio di Gneo Domizio Enobarbo, che significa “dalla barba rossa”, e Agrippina minore, sorella dell’imperatore Caligola e seconda moglie dell’imperatore Claudio, dopo Messalina.

Al contrario di quello che si può pensare, per salire al trono di Roma non era necessario essere figli dell’imperatore precedente. L’unico requisito era quello di fare parte della famiglia imperiale. Questo allargava a molte più persone la possibilità di ascendere alla massima carica, ma anche i rivali.

Scultura iperrealistica di Nerone secondo l’artista spagnolo Salva Ruano

Per questo, la navigata madre di Nerone lo fece adottare dallo stesso imperatore Claudio. Ciò lo rese la persona più prossima al trono, anche più di Tiberio Claudio Cesare Britannico, figlio di Claudio e Messalina, ma più piccolo e cagionevole di Nerone.

Nel 54, a diciassette anni, solo grazie all’ambiziosità di Agrippina, Nerone divenne imperatore. La sua indole, però, non era la stessa della madre: innamorato delle arti e dell’atletica, a lui poco si addicevano gli intrighi di una corte senza scrupoli. Tuttavia, per il ritratto che ci è stato tramandato doveva essere il posto adatto a lui.

Nerone: la rivoluzione ellenistica a Roma

Molti storici contemporanei, come spiega Massimo Fini in apertura del libro, hanno ridimensionato le colpe attribuite a Nerone. Ma a cosa è dovuta questa damnatio memoriae così unanime? Al suo tentativo di rivoluzionare la cultura della classe dirigente romana, soprattutto il Senato e la sua aristocrazia.

La volontà di ellenizzare gli antichi e rigidi costumi romani con l’influsso delle arti e della liberalità del mondo greco, non fu mai visto di buon occhio dai senatori che lo sostennero, solo di facciata, fino al 67, al suo viaggio in Grecia.

Da questo ceto, infatti, provengono le fonti storiche successive e i suoi stessi biografi, come Tacito, Svetonio e Dione Cassio, che misero addosso a Nerone la sua pessima nomea.

Non si deve dimenticare il ruolo degli scrittori cristiani dei primi secoli, che identificarono Nerone come l’imperatore che iniziò le persecuzioni contro i propri correligionari in occasione dell’incendio di Roma del 64. Di questo, vedremo nell’ultimo paragrafo, gli storici contemporanei tracciano un quadro molto diverso.

Nerone era crudele?

Fu davvero un sovrano crudele? Non più di altri, sicuramente meno di alcuni suoi predecessori. Gli unici due delitti che Massimo Fini, in base agli studi degli storici, attribuisce con sicurezza a Nerone sono quelli di sua madre Agrippina e sua moglie Ottavia. Delitti gravissimi, ma dettati da una logica ben precisa e non dalla sola crudeltà. Agrippina era una madre castrante e interessata a tenere il potere più su di sé che sul figlio.

Nerone, emancipatosi dalla sua guida, necessaria nei primi anni di regno, decide di liberarsene perché la percepisce come un pericolo per sé stesso.
L’omicidio di Ottavia è una faccenda molto più torbida e triste, in cui Nerone dà il peggio di sé per liberarsi dell’ingombrante e fredda moglie in favore dell’amata, bellissima, ma non così nobile Poppea.

Ma i delitti di Nerone sono un argomento talmente ben radicato nell’immaginario comune che Massimo Fini dedica un capitolo intero allo sfatarne i miti e a raccontare invece nel dettaglio quelli che davvero commise.

Quale fu la politica di Nerone?

Al contrario, la politica di Nerone fu improntata alla clemenza, pur rimanendo un sovrano assoluto. La sua politica fu molto simile a quella di Caligola, altro imperatore passato alla storia come non proprio esemplare. “Pacifista” in politica estera e mite nel dispensare pene capitali, Nerone non era il tiranno sanguinario che immaginiamo. Infatti:

Detestava la guerra, gli spettacoli cruenti, la violenza, le esecuzioni capitali. Nerone poteva mutare atteggiamento solo se minacciato e spaventato, anche se, forse, è vero che, come scrive Michael Grant, «si spaventava troppo facilmente». Anche in questi casi non dimostrò mai una particolare crudeltà. (Nerone, duemila anni di calunnie, p. 78)

Tant’è che fu Nerone ad abolire i combattimenti all’ultimo sangue tra i gladiatori, ma, non potendo ignorare i gusti della sua amata plebe, li sostituì con giochi tra belve, o spettacoli di giochi d’acqua o artifici tecnici. Per fare un confronto, sotto il buon Augusto, diecimila gladiatori si scontrarono, anche all’ultimo sangue, per compiacere il pubblico.

Tutto ciò non poteva essere visto di buon occhio dalle classi dirigenti romane che proprio sul militarismo, l’imperialismo e la politica di conquista avevano costruito le proprie fortune e fu una delle cause principali, se non la principale, della caduta dell’imperatore «folle». (Nerone, duemila anni di calunnie, p. 78)

La politica rivoluzionaria di Nerone, sia in ambito militare, finanziario e culturale, fu imbrigliata nei primi anni del suo regno dall’influsso della madre Agrippina e dell’onnipresente tutore e pedagogo Seneca. Nel 59 però Nerone uccide sua madre e solo nel 65 Seneca si suicida perché scoperto nella congiura di Pisone.

Gli storici contemporanei quindi restituiscono un ritratto di Nerone di un grande statista. Basti pensare che Traiano definì gli anni dal 64 al 68 quinquennio aureo, “il periodo più prospero e felice dell’Impero (fino a lui, s’intende)” (p. 47), quando cioè l’imperatore era ormai libero da ogni “guida”. Innegabile però che Nerone fosse un artista, seppur mediocre.

Non per questo, si disinteressò dello Stato, in cui attuò una politica monetaria espansiva, grandi lavori di opere pubbliche e risolse per molto tempo la questione partica con una missione di pace.

Nerone ha dato fuoco a Roma?

L’immagine più emblematica di Nerone, però, è quella del film Quo Vadis: il sovrano pazzo che canta mentre la città brucia per una settimana. Per rispondere alla domanda sopra, no, Nerone non diede fuoco a Roma. Non ne aveva alcun motivo: “il 64 fu uno degli anni salienti, forse il più brillante di tutto il principato di Nerone” (p.164).

La voce della sua colpevolezza, però, si sparse fin dai primi giorni dopo l’evento e fu uno dei motivi che aggravarono la sua posizione, nonostante diresse in prima persona i lavori per lo spegnimento e i soccorsi, accorrendo di notte da Anzio.

Ciò che si può invece constatare con sicurezza è l’eccellente piano di ricostruzione di Roma che Nerone mise in atto subito dopo l’incendio. Fu un piano di grande architettura sociale, organizzando per la prima volta la città in base alle esigenze di quasi tutti i ceti.

Anche il suo stesso palazzo sul Palatino andò distrutto e per lui costruì la bellissima Domus Aurea.

Perché Nerone accusò i cristiani?

Se di sicuro Nerone era tra le persone che non voleva l’incendio, ce n’erano altre che ne potevano trarre un beneficio o, addirittura, lo attendevano. I primi sono i partecipanti alla congiura di Pisone, che cercarono in tutti i modi di gettare discredito sul princeps per questa catastrofe. I secondi, invece, sono gli estremisti cristiani, che auspicavano la fine del mondo e che la nuova Sodoma, cioè Roma, bruciasse.

Anche l’odioso titolo di primo persecutore dei cristiani, quindi, è falso. Nerone rifuggeva la violenza, se non quando si sentiva minacciato (vedi Agrippina). I cristiani identificati come colpevoli furono condannati in quanto criminali, non in quanto cristiani. Inoltre, le prime confessioni furono spontanee, come a rivendicarne la paternità e a fregiarsi di questo titolo.

A ingrossare le file degli accusati, si aggiunsero anche gli ebrei, che non vedevano di buon occhio la setta estremista che ogni giorno di più ingrossava le sue fila con nuovi adepti. Nerone non perseguitò alcuna fede religiosa. La sua liberalità glielo impediva. Anzi, Nerone era molto incuriosito dai culti orientali, a cui il cristianesimo veniva ascritto.

Nerone duemila anni di calunnie di Massimo Fini è un libro che va dritto al punto e sfata i peggiori miti che sono stati attribuiti all’imperatore folle. Folle forse sì, ma nel suo significato di visionario e, quindi, molto spesso, incompreso.