Dire che facciamo insieme un salto in Hyperversum di Cecilia Randall, romanzo young adult, è quanto mai azzeccato. Dal titolo si potrebbe pensare a un fantasy o alla fantascienza, ma si fa fatica a inquadrarlo in un genere preciso che non sia quello avventuroso. Non si può ignorare però un’evidente caratteristica fantastica: il viaggio nel tempo.
Questo libro mi è stato regalato da una mia cara amica e per anni è rimasto sugli scaffali della mia libreria. La mole, 700 pagine, mi ha sempre scoraggiato: una pendolare non può andare a lavoro con un dizionario nella borsa. Ma addentriamoci nel vivo del libro, in cui per ogni pregio ho trovato quasi sempre un grosso difetto. Questa dualità, però, non mi impedisce di dire che il libro è godibile e, di sicuro, leggerò il seguito.
Di cosa parla Hyperversum?
Riassumere la storia del libro è molto semplice. Un gruppo di amici finisce nel Medioevo tramite un videogioco, Hyperversum, che dà appunto il titolo. Il gioco di realtà aumentata, di cui i due protagonisti Ian Maayrkas e Daniel Freeland sono appassionati, permette ai giocatori di creare uno scenario storico in cui agire tramite visore e guanti: Ian, appena tornato da Parigi dopo sei mesi di ricerca per la tesi sulla famiglia dei Montmayeur-Ponthieu, ricrea proprio quell’ambientazione che tanto lo affascinava. All’inizio della partita, però, qualcosa va storto: Ian e Daniel, insieme agli altri giocatori Jodie (che si frequenta con Daniel), Martin (fratello minore di Daniel), Donna e Carl, finiscono realmente nella Francia del 1214, anno fondamentale per la cacciata dell’Inghilterra dall’Europa continentale, proprio ad opera dei francesi.
In molti mi hanno fatto notare, prima di iniziare il libro, che ricorda Timeline, di Michael Crichton, da cui hanno tratto un famoso film con nientepopodimeno che Paul Walker, Gerard Butler e David Thewlis, ma senza l’elemento scientifico come preponderante.
Purtroppo, proprio per aver già visto questo film, la trama è ampiamente prevedibile. Anche qui, Ian, il vero protagonista del libro, incontra per davvero la famiglia che stava studiando e soprattutto Isabeau de Montmayeur, di cui si era “innamorato” dopo aver visto una sua miniatura in un codice. Quando sta per succedere qualcosa di importante, fidatevi del vostro istinto che l’avete azzeccata.
A fare da contraltare a questa prevedibilità, però, è la facilità di affezionarsi e immedesimarsi in questi personaggi, giovani del terzo millennio che vengono catapultati in mondo difficile da comprendere e da vivere, per le diverse convenzioni sociali che non conoscono (a parte Ian). Viene facile solidarizzare con Daniel ogni volta che si trova fuori posto in una situazione.
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Ho trovato anche inevitabile farmi la stessa domanda ad ogni nuova situazione paradossale che si trovano ad affrontare, oppure nel non voler forzare, o peggio cambiare, la storia: e io come mi sarei comportata in una situazione del genere? Nonostante tutti questi punti a sfavore, nonostante la trama sia davvero prevedibile, non lo è invece il finale, con ben due colpi di scena che non mi aspettavo. Le ultime 50 pagine non le avevo proprio immaginate così.
I personaggi di Hyperversum: luci e ombre
Altro tratto di Hyperversum che non mi è piaciuta sono stati i protagonisti troppo bravi e senza macchia, mentre tutti gli altri personaggi erano poco caratterizzati.
Ian viene descritto come un ragazzone bello, simpatico e molto intelligente. Lo è davvero, è davvero un ragazzo d’oro, ma dircelo subito fin dalle prime pagine introduttive ha impedito che mi affezionassi a lui fino almeno alla metà del libro. Diventa un cavaliere provetto nell’arco di qualche mese, tanto da combattere e sopravvivere sia in un torneo che in battaglia. Nelle prime pagine del libro si dice che ha fatto un corso estivo di shii-cho, uno stile di combattimento di spade laser, ma dubito fortemente che possa bastare per imparare a salvarsi la vita nell’assalto di un esercito medievale.
Tutti lo lodano, tutti lo trovano irresistibile e tanto che si prende anche le lodi da Filippo II Augusto, il re di Francia.
«Vi siete trovato un giovane falco orgoglioso» disse il re a Ponthieu. «Lo avete nutrito, gli avete dato un nido e lui per due volte vi ha riportato la vostra colomba, rubandola alle aquile. Mi sembra un falco promettente, vi darà delle soddisfazioni, se metterete da parte il dolore per rendere robuste le sue ali. Fedele lo è già per natura, come tutti i falchi, e la vostra colomba ve lo renderà ancora più fedele.» (p. 303)
Daniel non è da meno, visto che impara a tirare di scherma e diventa un arciere da guerra nello stesso periodo in cui Ian impara a combattere come un cavaliere del Medioevo. Ho trovato squilibrato lo stesso rapporto tra Ian e Daniel. Hanno solo due anni di differenza, ma Ian si comporta con Daniel come se fosse il fratello minore di dieci anni. Diventa quasi tossica la stessa mania di dover proteggere Jodie e Martin. Dubito che un ragazzo nato e cresciuto in una società del terzo millennio possa essere in qualche modo utile a livello fisico contro guardie armate di qualunque altra epoca. In un momento in cui Daniel deve raggiungere in fretta un altro castello per portare un messaggio, si preoccupa di dover proteggere Jodie e Martin, ma ho avuto la netta impressione che i due se la sarebbero cavata anche meglio da soli, dato che la ragazza conosceva anche il francese.
Questo ci porta all’altro punto debole: i personaggi secondari. Al di fuori di Ian e Daniel, i componenti del gruppo sono figure ininfluenti per la storia. La cosa che più mi ha dato fastidio, inoltre, è che il solo ruolo delle donne nella storia è quello di essere l’interesse amoroso dei due protagonisti. Se l’essere così pacata e remissiva di Isabeau può essere spiegata dalle convenzioni medievali, avrei preferito un ruolo più attivo o un’avventura anche per Jodie e Donna, due specializzande in medicina. Questo appiattimento è dimostrato dal fatto che sono totalmente tagliate fuori dal finale, dedicato solo a Ian e Daniel.
Tuttavia, la storia d’amore tra Ian e Isabeau è molto sentita, come la dichiarazione del nostro cavaliere senza macchia. Come detto prima, tutte vorrebbero Ian come fidanzato, visto che è bello, colto, simpatico, modesto e coraggioso. Un cavaliere da favola, insomma. Nel romanzo, purtroppo, non è dato molto spazio alla loro storia, se non alcuni momenti d’intimità. La mia parte più romantica ne chiedeva molto di più, forse anche per approfondire anche il personaggio di Isabeau.
Se non ho apprezzato la relazione tra Ian e Daniel, gioivo ogni volta che il conte Guillaume de Ponthieu entrava in scena per parlare con Ian. All’inizio, il loro rapporto è molto freddo e distante, adatto al rapporto tra un famiglio e il suo signore, ma si evolve molto e in maniera piena. Il personaggio è forse il mio preferito ed è uno dei personaggi storici, insieme al re Filippo II e pochi altri cavalieri.
Lo stile
Essendo un romanzo young adult, non mi aspettavo di certo uno stile sperimentale e intrigante, magari come quello di Manituana. Anzi, lo stile è abbastanza piatto e trascurabile. La storia è narrata nella più classica terza persona al passato remoto, con il punto di vista head hopping, che non apprezzo particolarmente. Cecilia Randall non ti fa confondere passando da Daniel a Ian, ma avrei preferito un punto di vista univoco.
All’inizio di Hyperversum, inoltre, ci sono alcuni spiegoni, fin dall’inizio in cui si spiega il funzionamento del videogioco. Arrivati invece in Francia, Ian diventa una guida turistica che spiega ai suoi compagni come ci si comporta nel Medioevo oppure quali sono gli schieramenti che tengono in pugno quei territori nel 1214, spesso in un modo che ho sentito troppo forzato.
C’è invece una spiegazione che ho trovato perfettamente inserita, quella del torneo di Béarne, con una curiosità che è la differenza tra un torneo del Duecento e una giostra del Trecento. La scena stessa del torneo è tra quelle che ho sentito di più, una delle mie preferite, dopo tutti gli incontri e i colloqui tra Ian e il conte di Ponthieu. Ho provato davvero le stesse sensazioni di Ian che partecipava al torneo come un cavaliere del Medioevo qualsiasi e degli scontri che affronta.
Alcuni dialoghi, però, soprattutto all’inizio, dove i due protagonisti entrano in scena, proprio non suonano. Sembra che l’autrice voglia quasi farli apparire più simpatici, e questo mi provoca allergia. Altre volte volte però ci sono delle perle, come questa, all’inizio di un momento di grande pericolo:
[…] e poi quasi con panico: «Ian?»«Sì?»
«Cosa ci facciamo noi due, qui?»
Ian prese fiato sotto l’elmo. «Teniamo alto il buon nome degli Stati Uniti d’America con il nostro coraggio.»
Daniel lo guardò allibito. «Stai scherzando.»
«Sì.»
«Mi pareva.» (p. 614)
Devo dire che è la prima volta che trovo così tanti difetti in un libro, ma continua a piacermi nonostante tutto. Hyperversum mi ha conquistato talmente tanto che le ultime cento pagine ho rallentato il ritmo di lettura perché non volevo finirlo, non volevo abbandonare Ian e Daniel perché avevo intuito qualcosa sul finale, che si è rivelato fortunatamente sbagliato.
Oltre a voler proseguire la saga, di cui mi hanno consigliato almeno la prima trilogia, Hyperversum mi ha fatto venire voglia di sapere di più del Medioevo. La storia mi è sempre piaciuta, ma il mio interesse andava per quella della Roma repubblicana. È ora di scoprirne di più, magari prima di Hyperversum – il Falco e il Leone, il secondo libro della trilogia.